05/08/11

Santiago Montobbio, RIFRAZIONI E CHIAROSCURI, a cura di Clarissa Amerini (Parte I)


[Ink squeezed out of a cartridge-type soul. Foto di Marzia Poerio]


Clarissa Amerini, RIFRAZIONI E CHIAROSCURI NELLA DIALETTICA POETICA DI SANTIAGO MONTOBBIO

Ripercorrendo la bibliografia dedicata all’opera di Santiago Montobbio (autore nato a Barcellona nel 1966), della quale anche su Internet si trova un’ampia scelta, si rileva un dato ricorrente: l’insistenza di molti critici sugli aspetti del dissenso e del diniego propri della sua poesia. Come dire che essa nega più che affermare qualcosa - com’è senz’altro vero -, ma ciò non significa che essa perda il suo impulso positivo.

Un esempio molto semplice lo offre la poesia PRAGA, che inizia con il verso “Non sono mai stato a Praga”: è curioso rilevare come Montobbio dedichi una poesia ad un luogo che non ha visitato, tuttavia è proprio questo un nucleo della sua poesia, che esplora la negazione per figurarsi gli spazi aperti del desiderio. Praga, la città sognata e mai conosciuta, è la forma visibile che nei versi di Montobbio assumono aspirazioni di un amore che nella realtà ha preso altre strade, allontanandosi: basta forse questo solo esempio a dimostrare come la negazione sia in questo autore un punto di partenza e come attraverso di essa egli arrivi a formulare le proposte del suo pensiero.

Così come la poesia di Montobbio può prediligere spazi inesplorati, la sua vita non è ricca di eventi o cambiamenti radicali, ma si distingue piuttosto per la costanza e per la dedizione alla letteratura (è laureato in Diritto e in Letteratura ispanica ed è attualmente professore di letteratura presso l’ESADE e l’UNED), che lo ha portato anche a collaborazioni e ad amicizie illustri: basti dire che sul suo primo libro HOSPITAL DE INOCENTES (1989) hanno espresso positivi giudizi personaggi del calibro di Ernesto Sábato, Camilo José Cela, Miguel Delibes o Carmen Martín Gaite.

I suoi primissimi versi escono sulla “Revista de Occidente” nel maggio del 1988 e da allora - quanto all’opera pubblicata - egli prosegue con una produzione quantitativamente discreta (solo sei libri) e senz’altro indipendente ed estranea alle mode e ai gruppi che si vanno succedendo. Come brevemente accennato, Santiago Montobbio vive lontano dai rumori del mondo letterario, riservando all’intima mediazione e meditazione poetica il suo più profondo rapporto con la realtà.

La poesia di Montobbio non è un resoconto oggettivo di eventi, ma una sorta di itinerario creativo del desiderio, che attraverso una stretta dialettica della negazione riesce ad affermare contenuti che vanno al di là delle comuni esperienze quotidiane - questo sì, in pieno dissenso con la cosiddetta poesía de la experiencia in voga in Spagna negli anni dei suoi primi tentativi poetici; sebbene non per questo la sua poesia si faccia né astratta né simbolica, ma sia caratterizzata da una sorta di interiore concretezza.

Per entrare nel merito delle dieci poesie che qui presentiamo [1] e della loro propositiva creatività, vogliamo mettere in evidenza, a fianco del comunque visibile impulso alla negazione, la moltitudine di “sí” in esse presenti, che, se consideriamo anche tutte le ripetizioni foniche della sillaba, arrivano ad un totale davvero sorprendente di 107 occorrenze.

Basterà forse citate la poesia NO ES NINGÚN SEGRETO, titolo che in una doppia negazione contiene in realtà una decisa affermazione: nel testo troviamo infatti il sintagma “sí, lo diremos así”, nei versi: “sí, lo diremos así, a la fuerza tendremos nosotros / que vivir así esta tarde, hasta el fin del tiempo”. Nel giro di poche parole, l’affermazione del “sí” si triplica ripetendosi nell’avverbio “así”, in una comunione di suoni e semantica (naturale ma non scontata in poesia) che dall’interno del verso stesso rafforza il senso della locuzione avverbiale “a la fuerza”. Di quale dissenso parliamo allora, se l’avverbio affermativo si impone a più riprese nel testo, richiamando a sé i suoni e anche il significato delle altre parole?

Questa, fra le moltissime altre che il lettore potrà individuare, è una delle caratteristiche più interessanti che danno movimento alla dialettica delle poesie di Santiago Montobbio, che, senza diventare contraddittoria, sfrutta al massimo le possibilità di un dinamico chiaroscuro poetico.

Limitandoci a questo semplice ma significativo spunto, concludiamo offrendo qualche chiave di lettura per le poesie qui proposte, in una selezione compiuta dal poeta stesso.

In EX LIBRIS, partendo dall’assiomatica negazione della propria esistenza (“no soy”), il poeta conclude che essa può essere affermata tramite l’esperienza della scrittura, che si presenta come arma a doppio taglio: da una parte, chi scrive prende coscienza della propria nullità e ne viene ucciso; dall’altra, in virtù di questa stessa consapevolezza, l’autore riesce a rendere testimonianza dell’essere stato: “sí fui”.

In CALLIGRAFIA DELL’AMORE è il titolo stesso a suggerire il tema trattato: l’amore e la traccia che esso lascia di sé. L’amore è qui presentato con una gradazione di chiaroscuri che si sovrappongono: il poeta sceglie dalla sua tavolozza tinte ora violente, ora delicate (“de mariposas y de sangre”), creando un quadro screziato dal grigio fregio ironico e disilluso di un “etcétera”. Vita e amore si corrispondono ed entrambe sconfiggono l’uomo che ama e che scrive; ma lo scrittore è condannato a ben più triste compito: redigere gli atti delle proprie sconfitte.

Fra gli evanescenti scorci di PRAGA, il poeta si nasconde in un sogno, descrivendo luoghi dove non è mai stato. La città descritta è una sua creazione, una realtà ideale, un rifugio raggiungibile solo attraverso la propria scrittura, Praga è la poesia stessa, che diviene unica alternativa concreta di una vita vissuta su altre strade.

In PER UNA TEOLOGIA DELL’INSONNIA, le negazioni si fanno molteplici, come in una stanza di specchi. L’insonnia brucia come un inferno, ma produce lo squarcio attraverso il quale appare il sogno di essere perdonati della colpa di non essere felici. La poesia è qui una doppia voce che sgrida e che consola.

L’apice di rifrazioni del dissenso si raggiunge forse in IL TEOLOGO DISSIDENTE: qui il poeta, per negare la propria vita, arriva a negare persino la morte, che già di per sé è negazione della vita. L’attesa - la “espera”, in spagnolo deverbale da esperar, che ha il duplice significato di attendere e sperare - è qui presentata come una “pupila oscura”, vuota: un’attesa privata della sua implicita speranza.

Il tema di L’ANARCHICO DEI BENGALA può essere riassunto in poche parole prese dall’incipit e dal finale della poesia: “yo soy […] se apagan”. Lo spegnimento di tutte le cose appare qui come la condizione necessaria perché si possa scorgere la propria individualità. Il “se apagan” incarna la stessa negazione che diviene mezzo e occasione poetica per la propria affermazione. I fuochi d’artificio, infatti, non sono altro che la luce emanata dai versi che illuminano la coscienza del poeta e gli permettono di essere a se stesso visibile e, in quell’identità, di permanere più a lungo possibile.

NON È NESSUN SEGRETO: come dietro ogni notte si nasconde una “amenaza”, così dietro ad ogni espediente della scrittura si nasconde la spaventosa consapevolezza di essere nulla. Scrivere offre una duplice coscienza: salvifica, perché in essa si afferma l’esistenza della persona; nefasta, perché quell’esistenza implica la propria finitezza: non ci sono segreti. Questo dice la scrittura, ma la stessa calligrafia ha una storia d’amore, e la stessa la vita intera: “Qui, / in questa inutile terra che ci hanno dato / tutti siamo poeti”.

Nell’ultimo testo proposto, DA PARTE DI CHI?, Montobbio riprende le fragili eppure intense illusioni della giovinezza, quando essere privo di idee sulla vita significava poterle avere tutte. La consapevolezza arriva insieme a una notte ben differente da quelle delle sbornie, fatta invece di addii e privazioni. Resta solo una consolazione della maturità: non essere unici significa anche non essere soli.

In conclusione, in tutti questi testi, Montobbio attraversa una drammatica fase della coscienza esistenziale: siamo tra l’accoglienza di una nuova, più matura consapevolezza e l’istinto di non voler sapere. Il poeta deve compiere il salto: ma la consapevolezza offre ali o le spezza? Che cosa allora negare?

Non sorprenderà, alla fine di queste letture, che Montobbio sia stato spesso etichettato come “poeta del dissenso”; ma occorre precisare che si tratta di una negazione d’intenti del tutto positivi, che dà significato alla poesia e, attraverso di essa, all’inafferrabile realtà.


NOTE

[1] Le prime tre su questo numero di “Carte allineate”; le altre su numeri successivi.


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TRE TESTI DI MONTOBBIO


1.


EX LIBRIS

No es bueno apretar el alma, por ver si sale tinta.
El papel sigue siendo el asesino – el asesino de ti -
y quizá es mejor que la sombra y que sus dagas
por antiguas voces descalzas vayan. Por antiguas voces,
muy lejos del número y sus cárceles, entre nieblas
olvidadas. Pero también pienso que con todo esto
tal vez puedas hacer algún día un cuadernillo;
que con todo esto – rojos, nieblas y niños
que se dicen adiós por las esquinas - quizá sí puedas
reunir unos ilegibles pedazos de diario
para con paciencia zurcirlos, tarde adentro,
hasta que torpemente formen un libro hecho de frío.
Y quizá sobre sus grises tapas de lluvia
puedas tú poner mi nombre antiguo
y, justo debajo, las sabidas fechas
de mi nacimiento y muerte. Y entonces
mi nombre pequeño allí, mi nombre – pobre -
que no sé ya si da pena o si da risa
así grabado en unas tapas
ante las que puedas abrazar las evaporadas siluetas
de unos tristes fantasmas sentimentales que no soy
pero que los viejos papeles tercamente dicen que sí fui.


EX LIBRIS

Non è bene spremere l’anima per vedere se esce inchiostro.
Il foglio continua ad essere l’assassino – l’assassino di te –
e chissà che non sia meglio che l’ombra e le sue daghe
per antiche voci vadano scalze. Per antiche voci,
molto lontano dal numero e le sue prigioni, tra nebbie
dimenticate. Ma penso anche che con tutto questo
forse tu possa fare un giorno un libretto;
che con tutto questo – rossi, nebbie e bambini
che tra loro si salutano agli angoli – forse davvero possa
riunire degli illeggibili frammenti di diario
per ricucirli con pazienza, dentro il pomeriggio,
fin quando goffamente non formino un libro fatto di freddo.
E forse sopra le sue grigie copertine di pioggia
tu possa mettere anche il mio nome antico
e, appena sotto, le consuete date
della mia nascita e della mia morte. E allora
lì, il mio piccolo nome, il mio nome – povero –
che non so più se fa piangere o ridere,
così inciso su delle copertine,
davanti alle quali tu puoi abbracciare le svaporate sagome
di certi tristi spettri sentimentali, che io non sono,
ma che i vecchi fogli ostinatamente affermano che sono stato.


2.

LA CALIGRAFÍA DEL AMOR

La caligrafía del amor está hecha de mariposas y de sangre,
mientras se redondea una o masculla un lobo, en el palito de la t un tonto jazmín suspira,
y asimismo hay que decir que la caligrafía del amor se parece a la de la vida
porque es bastante más que extraña, que la caligrafía y el amor
son peores que la tristeza y que la lluvia, mucho peores, sí,
y que ningún destino es tan horrible y tan hermoso
como el de quienes se envían sueños de pechos y cinturas
aprisionados bajo sellos de diecisiete o sesenta y pico pesetas
-eso depende de la urgencia, también del sitio-
y que en los abortados celofanes del adiós y sus distancias
con gran terquedad fingen creer que para cosas como éstas
aún resulta mínimamente útil el correo.

Desde luego: la caligrafía del amor está hecha de mariposas y de sangre,
mientras se redondea una o sí que más de una vez masculla un lobo, etcétera.
Pero no me habléis de eso, de eso no me digáis nada, por favor,
nada de nada. Porque en tiempos como ése yo llegué a estar muerto
varias veces en un día, y por otra parte muy bien sé
que no existe mayor ruina
que la de saberse condenado al extrañísimo oficio
del ir sin ningún eco levantando
innumerables actas de cómo
tu propia vida te fracasa.


LA CALLIGRAFIA DELL’AMORE

La calligrafia dell’amore è formata da farfalle e da sangue,
mentre se ne perfeziona una o sussurra un lupo, nel tratto della t sospira uno sciocco
gelsomino,
e poi si deve dire che la calligrafia dell’amore sembra quella della vita
perché è ben più che strana, che la calligrafia e l’amore
sono peggiori della tristezza e della pioggia, molto peggiori, sì,
e che non esiste destino così terribile e bello
come quello di chi si manda sogni di seni e fianchi
imprigionati sotto francobolli di diciassette o sessanta e più pesetas
– questo dipende dall’urgenza, anche dal luogo –
e che negli abortiti celofan degli addii e nelle loro distanze
con grande ostinazione fingono di credere che per cose come queste
ancora risulti minimamente utile la posta.

Certamente: la calligrafia dell’amore è formata da farfalle e da sangue,
mentre se ne perfeziona una o così che più di una volta sussurra un lupo, eccetera.
Ma non parlatemi di tutto questo, non ditemi niente, per favore,
niente di niente. Perché in tempi come questi sono arrivato ad essere morto
diverse volte in un giorno, e d’altra parte so molto bene
che non esiste rovina più grande
di quella di sapersi condannato allo stranissimo compito
di andare senza alcun eco compilando
innumerabili atti di come
la tua stessa vita ti sconfigge.


3.

PARA UNA TEOLOGÍA DEL INSOMNIO

Minuciosamente sueño a Dios durante el día
para por la noche poder creer que me perdona.

Desde la culpa de no ser feliz, de no haberlo sido,
desencuaderno mis ojos huecos y de sobras sé
que no dormir es un rastro del infierno.


PER UNA TEOLOGIA DELL’INSONNIA

Accuratamente sogno Dio durante il giorno
e così la notte poter credere che mi perdoni.

Dalla colpa di non essere felice, di non esserlo stato,
scompagino, vuoti, i miei occhi e oltremodo so
che non dormire è una traccia dell’inferno.


[Traduzioni di Clarissa Amerini]